Sì, ma tu, che lavoro fai, esattamente?

Mi trovo spesso a provare a rispondere a questa domanda.

Appunto, quale lavoro? Il formatore? Il consulente? Il docente?

Giro, vedo gente, mi muovo, conosco, faccio delle cose (cit.)?

Non essendo ancora una professione riconosciuta, almeno da un punto di vista istituzionale e non essendoci un esame di abilitazione pubblico o un albo, risulta spesso complesso definirsi, almeno nei confronti di chi non sia del settore (che peraltro non ha confini ben precisi). Esistono Enti che raggruppano i professionisti per fornire competenze specifiche e rilasciare, dopo aver sostenuto prove ed esami, attestati “privati”,  e al contempo favorire la conoscenza reciproca. Successivamente credo siano i clienti a fornire le certificazioni più importanti necessarie per proseguire, anche semplicemente sotto forma di feedback scritti consegnati alla fine di ogni intervento, nonchè  a raccontare ad altri le esperienze vissute e quindi a rendere più definito questo lavoro.

Forse nemmeno i termini utilizzati sono quelli più adeguati al ruolo, specialmente “formatore”. Personalmente preferisco altre variabili, ad esempio “facilitatore”: entrando nello specifico, ci sono altre definizioni del ruolo già ben codificate, quali Coach e Counsellor (normalmente se si lavora dall’esterno all’azienda/gruppo/ente), Tutor e Mentor (se si lavora direttamente dall’interno dell’azienda/gruppo/ente), ma a tutt’oggi le definizioni spesso si sovrappongono.

In questi anni, da solo o insieme a colleghi, le ore di formazione e consulenza erogate sono state molte, ho incontrato nei vari corsi almeno 3500 persone (dato di qualche anno fa, quando tenevo il conto preciso), alcune per più ore, anche 140 in un unico percorso, altre per sole 2 ore. Ho avuto modo di interagire con imprenditori, dirigenti, liberi professionisti, startupper, lavoratori dipendenti, apprendisti, persone in fase di ricerca attiva di lavoro, studenti delle scuole superiori e universitari e molti altri. Il costante contatto con queste diverse tipologie di utenze mi ha permesso di maturare una certezza: questo lavoro è vivo e in costante mutamento, e permette di dare e ricevere continuamente opportunità di miglioramento. Ad esempio, una singola semplice slide sulla comunicazione, utilizzata come supporto in aula, con le stesse parole o immagini, genera sempre percezioni diverse e il suo significato va gestito volta per volta, senza aspettarsi che faccia da sola il suo lavoro.

Prepararsi per improvvisare, si dice nell’ambiente.

Ah, e dove vai ad insegnare prossimamente?

Spesso arriva anche questa domanda, pure in questa situazione cerco di evitare il termine insegnamento e raccontare diversamente i contenuti e le modalità di questo lavoro.

In senso generale si lavora in effetti sull’apprendimento, i cui vari livelli sono stati approfonditi negli anni da sociologi, antropologi, psicologi, ricercatori e messi poi a confronto con i livelli neurologici analizzati dalla medicina e dalle neuroscienze.

Oltre a questi studi ho maturato un’idea personale riferita all’esperienza avuta fino ad ora.

L’intervento ad un corso di formazione, o ad una attività di consulenza, è preceduto da una accurata fase di preparazione, relativa sia al contenuto da presentare che alla conoscenza dei destinatari. Una volta entrati in aula, sono necessarie più rivisitazioni in corso di ciò che si voleva trasmettere e di come lo si voleva fare, tutto viene modificato dall’interazione dialettica che si genera tra il consulente e i clienti.

Quali slide userai?

Preparo una presentazione dai contenuti tecnico pratici personalizzata, ma non so bene se ne rispetterò l’ordine, dipende da cosa succederà in aula, anzi forse cercherò una slide che non pensavo di usare”.

Quali esercizi di formazione esperienziale utilizzerai?

Stessa risposta.

Ah ecco, ora capisco perché hai sempre un borsone con te e la macchina piena di oggetti

Ma imparano?

Altra domanda che sento spesso. Rispondo che il cambiamento individuale, ovvero la scelta di imparare, è legata sempre ad una sola parola: motivazione.

Se sono, o mi hanno, motivato, allora posso imparare, apprendere, conoscere, utilizzare, sperimentare, cambiare, migliorare e via così.

“If not”, non c’è corso di formazione che possa fare qualcosa, a meno che il corso non sia proprio sulla motivazione!

Credo si possano distinguere almeno due atteggiamenti con i quali chi fa questo lavoro si trova ad interagire: quello dei “Modifier” e quello degli “User”.

In un determinato ambiente ci si può trovare ad essere Modificatore o Utilizzatore di strumenti di lavoro, di procedure, di strategie, etc. e quindi avere diversi gradi di interesse verso i temi proposti.

Non è meglio o peggio essere uno di questi due tipi, quello che importa è esserne coscienti e capire se corrispondono alla propria motivazione.

Un po’ come avviene per la distinzione tra Leader e Follower.

Anche il Follower deve impegnarsi per perseguire gli obiettivi, al pari del Leader, in termini di costanza e impegno.

In alcuni casi si è quindi Modifier (Leader) in altri User (Follower) e la formazione deve tenere conto delle situazioni personali, per essere sicura di “fare del bene”. Questo vale anche per il formatore stesso, che ogni giorno dovrebbe comportarsi in entrambi i modi. Occorre domandarsi sempre cos’altro potrei fare per essere ancora più utile per le persone che mi ritrovo di fronte.

La situazione più complessa da gestire è infatti quando si cerca di trasferire dei contenuti a persone che non sanno se essere Modifier o User, e quindi non sono in condizioni di rendere al meglio poiché’ non sono né una né l’altra cosa.

Oppure vorrebbero essere Modifier (o sono stati assunti/scelti per esserlo) e si ritrovano ad essere User, o peggio ancora, sono stati assunti per essere User e poi sono stati investiti, senza chiedere, del ruolo di Modifier, vuoi per anzianità aziendale o solamente pensando di fare cosa gradita.

Ma anche no.

Anche in questi casi c’è, per fortuna, la possibilità di trasmettere segnali di miglioramento: può essere sufficiente partecipare ad un corso per capire che quello in essere non sia il posto di lavoro giusto, che lì non si sia nè modifier nè user. A questo punto il ruolo del formatore si trasforma magicamente in quello del consulente, che può intervenire in maniera diretta e aiutare il lavoratore (e quindi l’azienda) ad essere più “realizzati” e di conseguenza performanti.

In che modo?

Permettendo ai partecipanti di esplorare l’area del “non sapevo di non sapere” personale, della consapevolezza, di tutta una serie di temi che molto spesso sono diversi dal titolo del corso.

L’obiettivo di questo lavoro, inteso come corsi di formazione, consulenza manageriale e organizzativa, è quindi quello di poter generare una situazione in cui ognuno possa essere sincero sia con se stesso che con l’azienda (e viceversa, ma questo comporterebbe scrivere un altro articolo). Solo acquisendo questa consapevolezza il cliente riuscirà ad avviare, con il supporto del facilitatore/formatore/consulente e in autonomia, il percorso fondamentale di sviluppo delle nuove conoscenze, capacità e competenze.